
Ormai da tempo la Giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto l'infedeltà coniugale come causa di danni non patrimoniali risarcibili, se lede diritti costituzionalmente garantiti.
La recentissima pronuncia della Cassazione, l'ordinanza n. 26383/2020, evidenzia la problematica fondamentale in tema: occorre provare il nesso di causalità tra il tradimento ed il lamentato diritto leso.
La decisione dei giudici applica un principio di diritto ormai acquisito: la natura giuridica del dovere di fedeltà, derivante dal matrimonio, non è sanzionata unicamente con l'addebito della separazione, ma può dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c..
Ciò, anche senza la pronuncia di addebito in sede di separazione, sempreché (tuttavia) la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale in ipotesi, quello alla salute o all'onore o alla dignità personale.
La sussistenza di tale condizione in concreto costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni riservate al giudice di merito.
I Giudici del Palazzo evidenziano e sottolineano che la condotta del coniuge traditore debba ledere un diritto costituzionalmente garantito come la salute, la dignità e l'onore e che naturalmente venga dimostrato il relativo nesso causale con l'infedeltà.
Per spiegarci meglio, occorre provare, come nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, che la grave depressione ( lesione della salute) sia la diretta ed attiva conseguenza del tradimento subito. In caso contrario nessun risarcimento è liquidabile.
Dunque, tutto si trasferisce sul piano probatorio, concreto, del singolo fatto specifico, con tanto di prove documentali sanitarie e mediche.
La peculiarità del caso consiste, dunque, nel fatto che il Giudice del merito della separazione può considerare l’infedeltà come causa di addebito, ma può non considerarla come causa dell’ulteriore danno non patrimoniale.
Il Giudice del merito (in specie la Corte Appello) aveva dichiarato la separazione personale dei coniugi con addebito alla donna, ma ha confermato il rigetto del risarcimento del danno chiesto dal marito nei confronti della moglie.
La Corte ha addebitato la separazione alla moglie, perché la sua infedeltà ha reso intollerabile la convivenza, ma ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dal marito perché non è riuscito a provare il nesso di causa tra il danno ingiusto lamentato e la condotta illecita della moglie, che non è configurabile nell'infedeltà coniugale. La depressione che lo colpito deve attribuirsi infatti più alla separazione, che al tradimento.
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